Per non dimenticare: la Shoah dei bambini disabili

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Tutto ebbe inizio nel 1869, quando Galton, il cugino di Darwin, pubblicò “Il genio ereditario, nel quale affermava fosse possibile produrre una razza altamente dotata attraverso opportuni matrimoni nell’arco di più generazioni. Nel 1883, egli coniò il termine eugenetica ovvero la nuova scienza volta al perfezionamento della specie umana attraverso lo studio e la selezione dei caratteri fisici e mentali ritenuti positivi (eugenetica positiva) e la rimozione di quelli negativi (eugenetica negativa).

L’eugenetica trovò largo seguito negli Stati Uniti: nel 1896 lo stato del Connecticut introdusse la prima legge che proibiva il matrimonio per i malati di epilessia, imbecillità o malattie mentali; nel 1907 e 1909 entrò in vigore prima nell’Indiana e poi in California una legge sulla sterilizzazione coatta, soprattutto di donne e bambine, meno tutelate dalla società. Negli anni Trenta la sterilizzazione divenne una pratica abituale.

In Germania nacque la società tedesca di Eugenetica, nel 1905 (fondatore A. Ploetzche), ma ancor prima, nel 1895, fu pubblicato un libro “Il diritto di morire”, nel quale A. Jost teorizzava il diritto dello stato di eliminare gli “inadatti”. Durante la prima guerra mondiale si celebrò il trionfo dell’eugenetica tedesca, in quanto negli ospedali psichiatrici 140.234 degenti furono lasciati morire di fame. Nel 1920, poi lo psichiatre A. Hoche e il giurista K. Binging pubblicarono il libro “L’autorizzazione all’eliminazione delle vite indegne di esserevissute”. I due svilupparono il concetto di “eutanasia sociale”. Il malato incurabile, per loro, era da considerarsi non solo un sofferente, ma anche causa di problemi sociali ed economici (sottraendo risorse economiche utili per le persone sane) e motivo di sofferenza per i familiari. Bisognava porre fine alle sue sofferenze e distribuire in modo più efficace le risorse economiche.

Gli eugenisti americani suscitarono l’ammirazione Nazista.Così psichiatria e Nazismo finirono per siglare un “patto d’acciaio”: la sofferenza veniva soppressa, insieme alla ricerca e alla cura, per lasciare il posto a una pratica brutale tendente al controllo sociale

I Nazisti, per poter realizzare il loro programma omicida, si impegnarono tanto nell’opera di propaganda, per convincere il popolo della bontà della sterilizzazione forzata e dell’eutanasia: realizzarono una serie di iniziative come visite organizzate negli istituti, fecero girare film e documentari sull’argomento, mostrarono fotografie ripugnanti, veicolarono nelle scuole idee razziste e nozioni contrarie ai più elementari valori umani attraverso libri di testo e fecero più volte riferimento alle presunte conseguenze di ordine economico. Ottenere il consenso era fondamentale per poter continuare l’opera intrapresa

Il primo passo verso lo sterminio si ebbe con l’emanazione della Legge sulla prevenzione della nascita di persone affette da malattie ereditarie (25 luglio 1933) che autorizzava la sterilizzazione forzata delle persone ritenute portatrici di malattie ereditarie

Secondo passo: venne emanata la legge per La salvaguardia della salute ereditaria del popolo tedesco (8 ottobre 1935), che autorizzava l’aborto nel caso in cui uno dei due genitori fosse portatore di malattie ereditarie. Si diffusero in Germana circa 500 “Centri di consulenza per la protezione del patrimonio genetico e della razza”

Queste leggi, espressione della supremazia dello Stato, spianarono la strada al futuro annientamento di tutti coloro che risultarono “diversi” rispetto allo standard imposto dalla razza ariana.

Le donne con disabilità, così come i bambini, furono le più soggette a forme di discriminazione, in quanto costituivano l’anello debole della catena sociale. Contrariamente a quanto auspicato oggi dalla Costituzione (art.6- donne con disabilità), nella Germania Nazista, non solo lo Stato non proteggeva i suoi cittadini più deboli, ma li minacciava nel caso si fossero opposti alle pratiche di sterilizzazione prima e oppressione poi.

Lo sterminio ebbe inizio nel 1938, sfruttando il caso del piccolo Knauer, neonato con gravi handicap per il quale il padre, alla nascita, chiese la soppressione. La clinica infantile di Lipsia si rifiutò trattandosi di un atto punito dalla legge. La vicenda venne a conoscenza di Hitler, che ricevette una supplica da parte del padre, il quale autorizzò, dopo aver confermato la diagnosi del padre, l’eutanasia del bambino.

Da quel momento Hitler autorizzò i medici Brandt e Bouhler a istituire un programma di soppressione dei bambini portatori di difetti fisici o mentali. Fu emanato un provvedimento segreto, noto con la sigla IV-B 3088/39-1079Mi, che disponeva che i medici dei “Centri di consulenza” fossero obbligatoriamente informati da levatrici e ospedali della nascita di bambini deformi o affetti da gravi malattie fisiche o psichiche. Prese così il via l’Aktion T4. Tutto avveniva attraverso dei moduli di dichiarazione, dei questionari fatti circolare tra gli ospedali psichiatrici per contribuire, si diceva, alla ricerca scientifica e statistica. Il censimento ufficiale, per non destare sospetti, richiedeva la capacità lavorativa dei malati in vista di una eventuale esigenza bellica. Tali questionari furono riempiti spesso in modo molto superficiale e presentando anche situazioni più critiche del reale: i direttori degli istituti, infatti, temendo di perdere buona manodopera dichiararono inabili al lavoro anche coloro che venivano impiegati proficuamente. Di tali questionari, raccolti, venivano poi fatte tre copie e distribuite a tre periti che avevano poi il compito di valutare. Era raro che i bambini fossero visitati personalmente. Solitamente i risultati dei tre venivano, invece, spediti ad un quarto perito, il supervisore, che, senza una visita personale, decideva il destino del bambino

Le prime uccisioni risalgono al 1939 e si trattò dapprima di neonati e bambini sotto i tre anni. Venivano uccisi con iniezioni di bromuro, morfina o altri farmaci letali. Poi si iniziarono ad uccidere anche adolescenti e dai malati fisici o mentali, si passò a sopprimere anche i ragazzi con disturbi di personalità, di comportamento e dell’apprendimento. Cambiavano i metodi di esecuzione: fu allora che vennero sperimentate le prime camere a gas che camuffate da sale  docce. I corpi dei defunti venivano poi passati nei forni crematori.

Tutto questo avveniva all’insaputa dei direttori degli ospedali, ai quali non si indicava la località finale del malato, e dei genitori, i quali venivano informati di un loro trasferimento per essere sottoposti a nuove cure sperimentali. Ai genitori venivano fatti firmare dei consensi al trattamento, specificando loro i rischi che correvano. Per coloro che si rifiutavano, Hitler passò dalle forme persuasive alle minacce di perdita della custodia dei figli.

Così attraverso grossi pullman dai vetri dei finestrini oscurati, i pazienti venivano trasportati in uno dei sei centri per l’eliminazione. Questa costituiva l’ultima restrizione alla libertà per persone che già erano state costrette a vivere recluse, in luoghi non sempre conformi al rispetto delle libertà individuali.

Lo sterminio dei disabili fu quindi una prova generale dello sterminio che verrà perpetrato in Europa contro tutti i “diversi” e soprattutto contro il popolo ebraico.

Il programma T4 non rimase a lungo segreto. Lo spostamento di così tante persone e la morte di così tanti malati iniziò presto a insospettire i procuratori generali di Lipsia e Stoccolma. La Chiesa cattolica e protestante iniziò a far sentire la propria voce contro queste pratiche abominevoli e accusò lo stato come autore delle uccisioni.

Lo sterminio non era, purtroppo, ancora finito. Cominciò allora quella che viene definita “eutanasia selvaggia” ovvero l’eliminazione, senza alcuna autorizzazione di bambini e adulti disabili da parte di medici che operavano negli ospedali. L’uccisione si consumò, oltre che in Germania, in Francia, Austria e Italia e inoltre prese avvio l’operazione AKTION 14F13 non più segreta, che mirò a uccidere tutti i disabili all’interno dei campi di concentramento. Non è possibile stabilire quante persone vennero uccise durante questa operazione, ma ciò che è certo è che vennero eliminate anche persone non affette da alcuna malattia.

IMPLICAZIONI PEDAGOGICHE E RIFLESSIONI APERTE 

Quanto accaduto non può lasciarci indifferenti e richiede una riflessione pedagogica per evitare che tali atrocità possano ripetersi nella storia. Certamente i tempi sono cambiati, ma come dice Bauman, i nuovi tempi e i nuovi assetti socio-politici hanno procurato nuovi rischi.

Sembra necessario ripensare il rapporto tra pedagogia e politica ed incrementare un’educazione che abbia tra i suoi fini primari l’assunzione di responsabilità:

  • educazione alla convivenza civile e alla cittadinanza (non solo formare l’intelligenza cognitiva ma anche formare ad essere un buon cittadino, attraverso esperienze dirette di socializzazione e non solo teoria)
  • educazione al riconoscimento dell’umano nella diversità (ampliare gli orizzonti ed il significato di essere umano)
  • educazione all’empatia attraverso un’adeguata pedagogia degli affetti (incremento dell’intelligenza emotiva)

In questa sede mi interessa solamente approfondire il concetto di empatia, fondamentale.

Coloro che hanno messo in atto la Shoah dei disabili mancavano evidentemente di empatia: non erano cioè in grado di mettersi nei panni dell’altro, di percepire ciò che succedeva nelle persone che avevano di fronte. Essi non giudicavano o esaminavano una persona, ma un “caso”, asettico, impersonale, emotivamente lontano. Era in loro una esasperata razionalità priva di moralità che aveva offuscato la capacità relazionale.

Anche oggi, la paura dell’altro, percepito più come minaccia che come risorsa, la lontananza che percepiamo dalla rappresentazione che i mass-media danno di drammatiche realtà che continuano ad avvicendarsi, alle quali ci siamo assuefatti, i rapporti virtuali che lasciano meno spazio alle relazioni reali e infine una pedagogia che ha sacrificato gli affetti in favore dei processi cognitivi ci portano un po’ tutti ad una tendenza: quella dell’analfabetismo emozionale

Occorrerebbe ripartire da qui, introducendo nelle scuole corsi di intelligenza emotiva.

http://www.lavorosociale.com/archivio/n/articolo/in-una-mostra-la-shoah-dei-disabili

CALLEGARI C., La Shoah dei disabili. Implicazioni storico-pedagogiche e progettualità educative, Milano, Franco Angeli (PISTE), 2011

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